Già qualche mese fa abbiamo fatto degli accenni storici alle radici delle funzioni della finestra.
Le prime abitazioni dell’uomo sono state le grotte dove la duplice funzione “di porta e di finestra”, che oggi noi demandiamo separatamente, veniva svolta dalla stessa apertura. Alle grotte si accedeva attraverso una fenditura, priva di possibilità di chiusura, che garantiva illuminazione, areazione, facilità e sicurezza da intrusioni e pericoli dall’esterno.
Mentre nell’età preistorica le prime forme architettoniche che comparvero furono le capanne.
Nelle prime capanne (o tende) in giunchi, paglia e foglie e anche successivamente nelle abitazioni dei nomadi, che si spostavano per nutrire il bestiame e costruivano tende, con rami d’albero e pelli di animali, era previsto un solo varco. Costruite con pali di legno conficcati a terra e pareti di frasche o pelli, le capanne e le tende erano quindi caratterizzate da un’unica apertura, la porta, che aveva la funzione di accesso e di confine tra il mondo interno della propria abitazione e quello esterno. Invece, l’illuminazione e la ventilazione erano ottenute con un’apertura in cima alla capanna o alla tenda, in origine circolare, dalla quale fuoriusciva il fumo del focolare. Ancora oggi possiamo trovare le capanne utilizzate nel paleolitico, diverse per forma e dimensione in relazione al luogo o alle modalità di utilizzo, in tutti quei popoli nomadi che hanno mantenuto la propria tipica forma di abitazione.
Le capanne del neolitico, l’ultimo dei tre periodi che costituiscono l’Età della Pietra, erano fatte di tronchi delle foreste e di frasche nelle zone di pianura, mentre le tende erano fatte di pelli di animali. A differenza di quelle delle età precedenti, presentavano prevalentemente due aperture: l’ingresso che consentiva la mobilità interno/esterno ed un’apertura sulla sommità, generata dall’accostamento dei rami, che permetteva l’ingresso della luce e dell’aria.
In questo modo nacque e si sviluppò contemporaneamente, sia un’attenzione specifica per la realizzazione dell’involucro edilizio, sia i primi rudimenti di quella che possiamo definire la progettazione di un edificio. Prevedere uno spazio vuoto nell’intreccio dei giunchi, che costituivano l’ossatura portante, inserendo un’apertura in una capanna, rappresentò il primo passo per predisporre gli accorgimenti necessari allo scopo di irrobustirne l’ossatura portante e facilitare l’inserimento dell’elemento che avrebbe dovuto chiuderla.
Vedremo successivamente come all’epoca degli inizi dello splendore romano, Vitruvio nel “De re aedificatoria” desse indicazioni tecniche per la costruzione di finestre, in particolare per assorbire i carichi gravanti sugli architravi, e come il diffondersi della finestra stia in stretto rapporto con i periodi di pace. In pratica, si trattava di piccole finestre, posizionate in alto per impedire l’entrata di animali dall’esterno, e chiuse, nei periodi freddi o di notte, con assi di legno o stuoie di paglia intrecciata. La funzione della finestra era apprezzata per il passaggio d’aria, ma anche per ricevere all’interno della propria abitazione qualche raggio di luce. Con l’evoluzione della tecnologia costruttiva, che oramai comportava l’inserimento di uno spazio vuoto, e in tal modo si orientava verso l’impiego delle finestre, andava migliorando la qualità dell’abitare. In altre parole, nelle case, per arrivare all’apertura della finestra, si è dovuto imparare ad irrobustire per prevedere.
Insomma, abbiamo capito come nell’antichità la finestra fosse già presente, ma ancora non per caratterizzare strutturalmente un edificio. Non solo, ma a partire dalle aperture praticate nelle capanne, le forme e le configurazioni funzionali delle finestre attraversarono una trasformazione dettata dalla crescita della ricerca formale architettonica, ma anche e soprattutto dalle possibilità offerte dallo sviluppo della tecnica.
Molte ricerche archeologiche, che si riferiscono ai tempi della più antica civiltà urbana, quella dei Sumeri, il cui nome deriva dal biblico Shinar ovvero “luogo dei signori civilizzati”, dimostrano come nelle prime abitazioni fosse già presente una diffusione degli ambienti funzionale e completa. Essendo stata una civiltà sorta e vissuta in luoghi dove le temperature non erano particolarmente basse, pare che le finestre fossero delle aperture, più simili a delle feritoie, che consentivano il passaggio della luce. Avevano quindi lo scopo di creare un fascio di luce all’interno degli stretti cunicoli che permetteva sia una visione dell’interno accettabile, sia un ricambio d’aria continuo che consentiva il mantenimento di una temperatura più gradevole anche nelle abitazioni.
Nonostante la popolazione sumera fosse a conoscenza della tecnologia della fusione del vetro, si servì di questa per la realizzazione di vasellame pregiato e splendidi monili, anziché per chiudere le aperture delle finestre. In questi luoghi quindi non venne mai utilizzato il vetro per creare finestre, perché, probabilmente, avrebbe impedito ai varchi di convogliare aria più fresca all’interno delle costruzioni. Infatti, pare che per la schermatura delle finestre venissero utilizzati dei teli bianchi impregnati di grasso, la pelle di animali ridotta a sottile pergamena o, persino, pezzi trasparenti di vescica di maiale.
Nelle antiche civiltà Mesopotamiche e in quella egiziana, anche gli edifici di culto si caratterizzavano per dei semplici varchi o spiragli, che servivano come sistema di ventilazione contro le alte temperature. Ad esempio, nella grande civiltà egizia, le finestre, essendo particolarmente piccole, avevano un uso strettamente funzionale destinato al continuo ricambio d’aria e a consentire, in modo appropriato, mediante lunghi e stretti spiragli, la luce negli ambienti.