Guerre, disastri naturali e attacchi terroristici hanno tutti un qualcosa in comune provocano grandi distruzioni. Sempre quando accadono, possiamo scommetterci che poi arriverà qualcuno che sosterrà che tali fatti, per quanto spiacevoli, presentano almeno un lato positivo: un’economia che tornerà a girare creando occupazione. Dopo un disastro naturale, l’atto terroristico, la guerra dovranno essere spesi soldi per la ricostruzione. Intrigante, ma le cose non stanno così. Il ritenere che una distruzione di capitale possa risolversi in un beneficio per la società tutta, poiché coinvolta a livello occupazionale dalla conseguente spesa di denaro necessaria alla riparazione del danno, si tratta di un famoso “falso ragionamento”. Una simile argomentazione è infatti un esempio di cosiddetta “fallacia della finestra rotta” (o “fallacia del vetraio”), che è collegato con la legge delle conseguenze non intenzionali, in quanto entrambi implicano una valutazione incompleta delle conseguenze di un’azione. Frédéric Bastiat (1801-1850) svela questa fallacia all’inizio del XIX secolo mostrando come la distruzione non crei ricchezza ma invece distrugga proprietà.
Siete mai stati testimoni del furore del buon borghese Giacomo Buonuomo, quando il suo terribile figliolo sia riuscito a rompere una finestra di vetro? Se avete assistito a questo spettacolo, sicuramente avete anche constatato come tutti i presenti, fossero anche trenta, sembrino essersi messi d’accordo per offrire al proprietario una identica consolazione: non tutto il male viene per nuocere; incidenti come questo mandano avanti l’industria; bisogna che tutti possano vivere; che fine farebbero i vetrai, se non si rompessero mai i vetri?
Il racconto della finestra rotta di Bastiat, pubblicato nel luglio 1850 nel pamphlet “Ce qu’on voit et Ce qu’on ne voit pas” (“Ciò che si vede e ciò che non si vede”), fu l’ultima pubblicazione in vita del brillante economista liberale francese, deceduto quarantanovenne a Roma di tubercolosi nel dicembre 1850. Il saggio tratta diversi argomenti, in primis la fallacia di chi considera le disgrazie, le devastazioni e i danni alla proprietà come un bene perché “fa girare l’economia”.
Si immagini il caso di un negozio finestrato. Arriva un ragazzo che con un sasso infrange la finestra facendo arrabbiare il titolare. Perché mai questi si arrabbia? Perché ora la sua finestra è rotta e dovrà pagare un vetraio per sostituirla. A questo punto un passante che ha assistito alla scena e qualcuno di noi dovrebbero essere contenti poiché quel gesto produrrà occupazione. Quel che è certo è che il negoziante pagherà il nuovo vetro, il vetraio riceverà i soldi per poi spenderli al ristorante, in un abito nuovo o per acquistare quel che desidera. Ciò creerà lavoro ad altre persone e quei soldi circoleranno nell’economia e saremo tutti più ricchi grazie ad una pietra lanciata da un ragazzo e ad una finestra rotta da sostituire. Sarebbe molto semplice fare ripartire l’economia: basterebbe distruggere per poi ricostruire così invocando la cosiddetta “benedizione della distruzione” (ovvero distruzione creativa).
Riflettiamo un attimo sulle conseguenze di un simile ragionamento nel caso si rivelasse corretto. Invece di impedire alla gente di far danni e di distruggere proprietà dovremmo arruolare eserciti di ragazzini armati di pietre che vanno in giro ad infrangere finestre perché dopo tutto la spesa per simili riparazioni ci porterebbe ad una maggior ricchezza? Distruggere cose per poi spender soldi per sostituirle sarebbe la via per la prosperità… L’errore che commettiamo usando tale logica sta nel concentrarsi soltanto su quel che si vede tralasciando quel che non si vede: ciò che non vediamo è l’uso che il negoziante avrebbe potuto fare di quei soldi se non avesse dovuto spenderli per il nuovo vetro. Sia il passante sia qualcuno di noi sta considerando solo un lato della medaglia, vale a dire la catena degli effetti positivi che conseguono all’atto vandalico. Questi effetti positivi sono, indubbiamente, reali. Ma sono soprattutto sono visibili.
Il proprietario del capitale distrutto dovrà infatti destinare ulteriore denaro per la riparazione, rinunciando così ad usarlo per altri acquisti di merci e servizi. Avrebbe potuto comprarci un paio di scarpe, creando occupazione per un commerciante che poi li avrebbe spesi altrove, ad esempio al supermercato portando lavoro al relativo settore. Avrebbe potuto anche risparmiarli per poi prestarli finanziando una nuova impresa. Insomma, avrebbe potuto spenderli diversamente, creando lavoro per altra gente.
In altre parole, l’atto vandalico non ha creato nuovo lavoro. Ha dato lavoro a qualcuno e tolto lavoro a qualcun altro. Per la società (in questo caso, questi tre suoi membri) sarebbe stato meglio se la finestra non fosse stata rotta, perché avrebbe comunque avuto una finestra intatta ed un paio di scarpe nuove, invece che solo una finestra. Noi tendiamo a notare ciò che è visibile (il vetro nuovo, il vetraio che guadagna dei soldi, ecc.) e a dimenticarci di ciò che è invisibile. La società avrebbe potuto mantenere la finestra intatta oltre al vantaggio di tutta una catena di scambi resi possibili dal non aver dovuto usare quel denaro per una nuova finestra. Nel primo caso invece (finestra rotta) la società nel complesso si troverà più povera del capitale, non più ricca, nella misura del danno registrato.
La distruzione non porta a più beni e servizi o crescita. Questo è ciò che dovrebbe essere previsto. In realtà, ogni distruzione di capitale ha per forza effetti aggregati negativi, perché dirotta per la ricostruzione risorse che avrebbero potuto essere impiegate in altro modo, con un accrescimento del benessere collettivo. È importante ricordare come sia la produzione e non la distruzione a creare in realtà ricchezza.
Bastiat ritiene che i costi opportunità e la legge delle conseguenze non intenzionali influenzano l’economia in modi che non sono percepiti e che vengono ignorati. Sia lui sia un secolo dopo l’economista statunitense Henry Hazlitt (1894-1993), nel suo celebre saggio “Economics in One Lesson” (“L’economia in una lezione”), sostengono che le azioni e le politiche pubbliche hanno costi nascosti e conseguenze che sono difficili da vedere, ma che sono non meno reali dei benefici e delle conseguenze visibili.
L’apologo della finestra rotta insegna che in economia – ma lo stesso discorso vale anche per la morale in genere, basti pensare al principio di responsabilità – non dobbiamo limitarci a considerare solo gli effetti immediati di una misura economica, ma anche quelli più a lungo termine. Come dice Hazlitt nel 1946:
Il cattivo economista ha di mira solo gli effetti immediati; il buon economista guarda più lontano e si preoccupa anche di quelli remoti o indiretti. Il cattivo economista considera le conseguenze di una determinata politica solo nei confronti di un gruppo particolare; il buon economista si preoccupa anche delle conseguenze che tale politica può avere sull’intera collettività.
D’altra parte la parola “economia” (dal greco: οἴκος-oikos, casa e νόμος-nomos, pascolo), nel suo significato etimologico significa “gestione (o amministrazione) della casa”, vale a dire, insieme delle attività relative alla produzione e alla distribuzione del reddito, non quindi della distruzione!