Nello scorso appuntamento con la storia della finestra, abbiamo visto come a fine Ottocento, con l’arrivo di nuovi materiali, quali acciaio e cemento e con l’avvento di tecniche innovative, la finestra entri nella concezione moderna. Proprio nel modo in cui la conosciamo oggi, la finestra non è più solo un’apertura nel muro, utile al passaggio di luce ed aria, ma un elemento fondamentale nella struttura degli edifici.
Siamo agli inizi degli anni ’20 quando questa nuova corrente di pensiero si caratterizza per un particolare interesse all’edilizia residenziale pubblica e privata, creando costruzioni composte da grandi vetrate che si affacciano sulla città.
In generale si verifica un rifiuto dei collegamenti con l’architettura storica dei secoli passati e i nuovi architetti si vantano di essere non più degli artisti, ma prima di tutto dei tecnici. Interessato a creare una nuova forma di architettura nata dall’intersezione tra architettura, arte, design industriale, tipografia, grafica e interior design, Walter Gropius costituisce un’istituzione nota come Bauhaus, caratterizzata da uno stile emergente destinato ad influenzare per sempre l’architettura.
La produzione dell’istituzione Bauhaus si distingue in modo particolare per le sue strutture in cemento armato e grandi superfici vetrate. Oltre a Gropius, di particolare interesse sarà l’atteggiamento di alcuni grandi architetti, come Le Corbusier e Mies van der Rohe, di cui parleremo in seguito.
Innovazioni tecnologiche già conosciute da tempo, come i profilati d’acciaio e il cemento armato, in questo periodo acquistano un ruolo dominante nella progettazione sviluppandosi ampiamente. E così all’inizio degli anni ’20 le facciate si spogliano di ogni manierismo, mentre lasciano che predominino il cemento armato e i profilati d’acciaio.
L’architettura moderna riporta porte e finestre all’essenzialità di disegno, concentrando l’attenzione sugli aspetti tecnici e funzionali, affrontando il problema delle aperture nella globalità dello studio delle facciate e dei volumi. Si tratta di un totale mutamento di impostazione che tuttavia non significa naturalmente scomparsa di valori estetici. Allora si arriva ad ottenere serramenti caratterizzati da qualità precedentemente impensabili: linee essenziali, funzionalità, resistenza e durata. Se pensiamo poi che storicamente la prima città ad avere più finestre è Vienna, ma solo dopo aver attraversato un periodo molto difficile di ostruzionismo e scetticismo, è proprio la secessione viennese che, rivoluzionando anche l’architettura, dà uno slancio al design sempre più simile a quello dei giorni nostri. Proprio laddove piccole e grandi finestre abbelliscono le costruzioni e vengono utilizzate per decorare palazzi con uno stile sempre più moderno. L’arredo urbano viene rivisitato e visto con occhi diversi grazie ai grandi artisti dell’epoca, tanto che Vienna diventò città dell’era moderna. D’altra parte il fenomeno secessionista determina un cambiamento storico che invade diverse città, all’interno delle quali possiamo ancora ammirare tutta la maestosità e la modernità delle finestre. Anche i palazzi storici, caratterizzati da una grossa quantità di finestre, con forme e colori freddi che richiamano la luce, nelle giornate soleggiate, danno luogo a fasci luminosi e colorati. La vasta e capillare presenza di finestre sulle facciate e di vetrate sui tetti, mettono ancor più in risalto la grandezza degli edifici.
Questo tipo di architettura, priva di qualsiasi elemento figurativo, una sorta di produzione in serie e ripetitiva, la ritroviamo simile nella maggior parte delle opere di edilizia pubblica italiana di epoca fascista. L’architettura sviluppatasi durante il regime fascista unisce il recupero delle forme classiche al moderno sentire attraverso l’uso del cemento armato e la presenza di ampie superfici finestrate, spesso quadrate.
Si verte verso un’architettura sganciata totalmente dal passato, che è espressione della politica celebrativa a carattere propagandistico. Cosa che ovviamente avviene non solo nella dittatura italiana, ma anche in quella tedesca e in quella stalinista. È anche vero che al contrario degli stati totalitari di tipo nazista o comunista, gli architetti e gli artisti italiani del ventennio e trentennio non sono costretti a seguire direttive rigorose e godevano una grande libertà di creazione. Le maggiori tendenze architettoniche del periodo fascista sono infatti il razionalismo funzionale ed il classicismo neo-romano. Il mito della romanità, identificabile con la grandezza dell’antico impero, si accosta all’ideale della “modernità” e della “rivoluzione” rappresentata dal Fascismo stesso, o ancora al mito della “mediterraneità” che richiama alla mente paesaggi e tradizioni italiche. Dal canto suo, il rigore razionalista fascista oltre a risolvere i problemi di edilizia di massa intende connettere la forma alla funzione, utilizzando elementi squadrati, ripetitivi e riducendo il tutto all’essenziale, fatto di linee, angoli retti, volumi netti e squadrati. Gli edifici eretti in quegli anni mostrano un’immagine gelida e cupa seppur grandiosa, a causa dell’utilizzo del marmo, di facciate con lastre piane, della ripetizione di forme geometriche come il cubo e il cilindro, il contrasto dei bianchi e dei neri e l’assenza di decorazioni. Lo scopo principale dell’architetture è quello di incanalare il gusto popolare in un’estetica che vuole essere specchio fedele del regime fascista il cui intento è quello di “smuovere le masse”.