“Mar Adentro”, basato su una storia vera, è la terza pellicola cinematografica di successo del cileno, naturalizzato spagnolo, Alejandro Amenabàr, all’anagrafe Alejandro Fernando Amenàbar Cantos, regista, sceneggiatore, compositore, produttore cinematografico. Questo film drammatico, scritto, prodotto e realizzato da Amenàbar nel 2004, viene presentato in concorso alla 61ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia dove ottiene la Coppa Volpi come “miglior attore protagonista” e vince come “miglior regia”. Nello stesso anno si aggiudica l’Oscar Europeo come “migliore film in lingua straniera”, il Leone d’Argento – Gran premio della giuria al regista e 14 Goya Awards, tra cui quello per il “miglior film”, “miglior regista”, “miglior attore protagonista”, “miglior attore principale”, “miglior attore non protagonista”, “miglior supporto attrice” e “miglior sceneggiatura originale”. Mentre nel 2005 consegue il Golden Globe, premio assegnato dalla stampa estera accreditato a Hollywood, come “miglior film straniero”.
“Una vita in questa condizione non ha dignità”, così afferma Ramòn sostenendo questo suo principio con grande convinzione, aiutato soprattutto dalla sua ironia. Ma Ramòn non è sempre stato così. A diciannove anni aveva deciso di imbarcarsi su una nave norvegese con l’intenzione di girare il mondo. Tuttavia all’età di soli venticinque anni si trova vittima di un gravissimo incidente: tuffandosi in mare da una scogliera (Praia das Furnas), in un momento di risacca, rimane paralizzato dal collo in giù. Nonostante ciò, da 28 anni le persone della sua vita si prendono veramente cura di lui: la cognata che lo accudisce con premura e dedizione, il nipote adolescente che rappresenta per lui il figlio mai nato, quello che avrebbe voluto avere se l’incidente non gli avesse spezzato la vita. La sua famiglia lo ama e non si lamenta dell’impegno e delle limitazioni che l’uomo comporta per se stesso e per loro. Per Ramòn, che ritiene che vivere debba essere un diritto e non una condanna, la sua condizione gli consente solo di desiderare l’eutanasia, battendosi per questo. Ad opporsi alla sua decisione, di porre fine ad “una vita che senza libertà non può essere considerata vita”, il fratello di Ramòn che, per assisterlo, abbandona la sua attività di pescatore; il padre, che afferma che “peggio di avere un figlio morto è avere un figlio che vuole morire”; e, non ultimo, un prete gesuita, costretto sulla sedia a rotelle, ma ancora saldo nella sua fede, che intrattiene col protagonista un dialogo esemplare.
Ramòn intenta una causa (la prima di questo tipo in Spagna) tentando di vedersi riconosciuta legalmente la possibilità di ricevere assistenza per porre fine alla sua vita. A sostenere la volontà e la causa di Ramòn diverse figure femminili fra le quali Julia (l’unico personaggio del film di pura invenzione), affetta da una malattia degenerativa (la sindrome di Cadasil), avvocato di un’organizzazione che lavora per il diritto alla morte; e Rosa, una donna del posto che lavora come disc jockey presso una radio locale e che ogni giorno lo raggiunge in bici. Entrambe le donne si innamorano di lui, anche se Ramòn nutre attrazione e sentimenti d’amore solo per Julia al punto da fantasticare su di lei e soffrire della sua mancanza. D’altra parte Rosa, che vuole convincere Ramòn che la sua vita può esser degna di essere vissuta, diviene essa stessa fautrice e parte attiva del sogno dell’uomo. Sperando invano nel riconoscimento pubblico di un diritto, per cui la sua petizione viene più volte rigettata (i giudici specificano che chiunque lo avesse aiutato a morire avrebbe commesso un reato), Ramòn accetta il compromesso di realizzare il suo desiderio altrimenti: “chi mi ama mi aiuterà a morire!”.
Nel 1998 Ramòn riuscì a morire, avvelenandosi con cianuro di potassio grazie all’aiuto dalla sua amica Ramona (che lo ammetterà nel 2005, a crimine prescritto), dopo aver pianificato la sua morte in modo così geniale che, anche se tutti i dettagli fossero stati scoperti, nessuno avrebbe potuto essere accusato del crimine. Ramòn è stato e rimane comunque l’uomo che aspetta nel suo letto, che sorride nonostante tutto e capisce come possa accadere la sua vita in alternativa a quella che avrebbe potuto essere. L’uomo che vuole qualcosa che non può avere a causa della sua infermità ma che non avrebbe voluto se non fosse stato in quella condizione.
Ramòn passa le sue giornate a guardare dalla finestra immaginandosi ancora quel giovane audace e vorace di vita prima che l’incidente troncasse la sua esuberanza. La finestra della sua camera, che da lontano solca i mari che bagnano la spiaggia di Carnota, la più lunga della Galizia (7 km), costituisce il suo unico sguardo. E poi un’altra finestra, quella della camera d’albergo, di fronte alla quale contemplerà quel mare, indiscusso e muto spettatore dell’ultima notte della sua vita.